Artista giapponese naturalizzato italiano, Makoto (Maebashi) elabora la propria poetica a partire dalle suggestioni suscitate dal corpo umano che nella sua resa leggera, forte e sottile allo stesso tempo trova la sua piena celebrazione. L’eleganza delle figure antropomorfe ora sospese, ora adagiate sul pavimento richiama la scultura “classica”, al cui fascino lo scultore si lascia sottilmente sedurre. L’incontro con il patrimonio artistico occidentale durante gli anni della formazione presso l’Accademia di Belle Arti di Carrara, infatti, ha inciso profondamente sul percorso dell’artista arricchendone l’immaginario e alimentando la ricerca della forma come punto nevralgico della propria espressione.
L’attenzione di Makoto si concentra principalmente sull’evidenza plastica, scevra da ogni vibrazione cromatica: un “Codice Bianco” che diviene un invito alla percezione del non oggettivo. Liberandosi delle tecniche di lavorazione dei materiali acquisite a Carrara, a partire dagli anni Novanta, Makoto comincia a perfezionare un procedimento personale che prevede l’utilizzo del tessuto ingessato e steso sul corpo umano, il “velo della Veronica” che trattiene l’energia di chi lo ha indossato e quella dell’artista che ne ha scelto e plasmato il contenuto, restituito poi sotto forma di nukegara, spoglia. Un processo che va dall’esterno verso l’interno e che si lega alla pratica dello Shiatsu alla quale Makoto si dedica con costanza da parecchi anni. Prima di stendere il tessuto “gessato” sul corpo del modello, quest’ultimo viene sottoposto a un trattamento Shiatsu da parte dello stesso artista che ne libera l’energia, ramificata poi nelle fibre del tessuto. Il filo, materiale base utilizzato dallo “scultore del tessuto”, lega in una sintesi emozionale Oriente e Occidente.
La forma visibile diviene lo strumento attraverso il quale Makoto trasforma l’assenza in presenza, diviene la traccia di una realtà non tangibile e riproducibile solo nella mente di chi osserva. La forma “viva” rimanda a ciò che forma non ha, alla dialettica tra essere e divenire percepibile in uno spazio determinato. Rimanda a quell’energia vitale che non ammette distinzioni tra oggetto e soggetto, e in particolare tra opera e osservatore. La scelta del colore bianco, cifra stilistica di Makoto, risponde proprio a questa esigenza: esso contiene in sé tutti i toni e le sfumature di significato che ogni spettatore è libero di attribuire all’opera nel momento in cui la percepisce. Nell’immobilità della forma si agita una dinamica di relazioni in continuo mutamento, in un perpetuo “non finito” che vive e vibra nell’hic et nunc.
Secondo questa dinamica lo spazio, lungi dall’essere un mero contenitore, concorre in maniera determinante all’elaborazione delle opere già nella loro fase ideativa. Il modus operandi dell’artista prevede, infatti, una fase preliminare durante la quale lo studio dello spazio architettonico suggerisce la forma della nukegara dando vita a delle “opere specifiche per il luogo”. Sagome presentate nella tridimensionalità di un corpo coperto mostrato di spalle cominciano a “svestirsi” nei lavori di recente produzione: alla totalità del corpo si alterna il frammento colto nella sua seducente frontalità. Artista poliedrico e meditativo, Makoto esprime il proprio estro dedicandosi a varie attività (quali quella di attore e performer, all’arte degli origami), utilizzando diversi media e collaborando con danzatori, fotografi, stilisti, musicisti, registi. I numerosi successi nazionali e internazionali confermano il talento di un artista sensibile, capace di guardare con uguale acume tra Oriente e Occidente e come tale protagonista del Padiglione Giapponese presente all’Esposizione Universale di Milano 2015.
Giusy Marfia (Torino)